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La chiatta, Un mio nuovo racconto

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Animasalva
view post Posted on 31/8/2014, 22:44




E' un po' che non pubblico "opere" mie... questo è uno degli ultimi racconti che ho scritto, mi è stato ispirato dal mio compagno e a lui è dedicato.

Il clochard.
Il primo sorso mi brucia la gola. Il secondo arriva dritto nello stomaco, come un pugno.
Il terzo... il terzo lo sputo. Questo whisky del discount fa schifo. Mi lascia un sapore terribile in bocca. Frugo nella tasca della giacca, alla ricera di un cioccolatino, lo scarto e lo metto in bocca, assaporando il sapore amaro del cacao.
Fondente al 75%.
Rigiro la bottiglia tra le mani. Dovrei smetterla, di comprare whisky al discount. O forse dovrei smettere di bere. Ma chi mi farebbe compagnia, in queste notti fredde e solitarie, in cui i pensieri si aggrovigliano furiosi nella mia mente, mentre l'umidità mi entra nelle ossa e pare volerle sbriciolare?
Mentre il cioccolatino mi si scioglie lentamente in bocca, bevo un altro sorso. Qualche anno fa bevevo whisky con ghiaccio seduto al bancone luccicante di un bar. Poi rientravo a casa e mi gettavo sul divano.
Ora non ho più un divano, non ho più una casa. Sono, e lo dico bene perché ho studiato, un clochard. Perché? Non ha importanza. Ora vivo in una vecchia baracca, ma più che altro vivo per strada. Vivo qui, sul lungomare della mia città. Che città? Anche questo non ha importanza, ho girato l'Italia,e non solo, in lungo in largo. Le città, le baracche, i lungomare si somigliano. Gli scogli si somigliano. Ho freddo, ma resto ancora un po' a godermi il canto delle onde.
E il silenzio delle stelle. Pochi passanti notturni, frettolosi percorrono il lungomare senza degnarmi di uno sguardo.
Sono un invisibile. Mi vede solo lui, l'uomo della chiatta.
La chiatta è ormeggiata da anni sul lungomare. Dondola pigramente... giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. Dondola e cigola leggermente. La salsedine la sta rovinando, ma nessuno sembra farci caso. E' in abbandono. La guarda solo lui, quello che chiamo l'uomo della chiatta. Viene preferibilmente di sera, parcheggia l'auto e poi scende. Guarda la chiatta, affascinato. Non riesco a dargli un'età.
Ha i capelli grigi, il volto solcato da rughe, ma quando sorride ridiventa bambino. Lo so perché una sera gli ho chiesto una sigaretta: è sobbalzato quando gli ho rivolto la parola, poi ha scosso la testa. Mi ha detto che non fuma. Gli ho detto che fa bene, che fumare fa venire il cancro, ma almeno mi scalda un po'. Allora mi ha detto: “Se vuoi ti pago un caffé” “No grazie” ho risposto “il caffé di sera non mi fa dormire. A proposito, buonanotte” e gli ho sorriso, perché mi stava simpatico. Guardava la chiatta e aveva un'espressione triste negli occhi, un velo di malinconia. Era come guardare uno specchio, il suo volto era il mio.
A quel punto ha risposto “Buonanotte”, mi ha guardato e ha sorriso. E il sorriso l'ha fatto diventare bambino, ma solo per una frazione di secondo, poi ha ripreso il suo sguardo grave.
Sorride poco e guarda la chiatta. Mi piacerebbe sapere perché. Viene anche quando piove, ma non scende dall'auto. Ma lo vedo che guarda la chiatta. Chissà perché. E' qui anche stasera. Le mani in tasca, la sciarpa alzata a coprirgli mezzo volto. Si appoggia alla sua auto e guarda la chiatta.


L'uomo della chiatta.
Anche stasera il barbone è qui. Lui crede che io non lo veda, in realtà lo noto quasi tutte le sere. Fa freddo, più del solito. Non capisco se piove o se è solo umidità, ma sono qui da pochi minuti e mi sento già bagnato. Mi stringo nella sciarpa, metto le mani in tasca per sentire calore. Forse dovrei andarmene a casa, almeno ho un divano, una coperta, un televisore davanti al quale addormentarmi. O un computer al quale affidare pensieri. Invece sono qui, in piedi in questa notte gelata, a guardare una chiatta abbandonata.
Era una sala da ballo, una volta. Mi sembra di sentire ancora l'orchestra che suona, come nel Titanic. Non regge il paragone col Titanic, lo so, la chiatta non è affondata, ma anche qui era in corso una festa da ballo... quando un pazzo entrò e iniziò a sparare in mezzo alla folla.
Dicono -io non c'ero- che molti scapparono, ma moltissimi altri caddero, colpiti a morte.
Si levarono altissime urla e – così raccontano, ma non so se sia vero- l'orchestra continuava a suonare. Qualcuno dice una mazurka, qualcun altro un valzer, ma poteva essere anche una polka. Cadevano le persone, cadevano le bottiglie di alcolici e ben presto gin e sangue si mescolarono sul pavimento sfavillante, fino – sempre così dicono- a impregnarlo per sempre. Il pazzo colpì anche i cristalli del lampadario. Non riuscirono a fermarlo e si sparò. Si sparò un colpo in gola. Così non si seppe mai il perché del suo gesto. Raccontano -ancora- che l'orchestra suonò fino alla fine, nonostante gli spari, le grida, il sangue. Nessuno degli orchestrali cadde. Nessuno morì. Dicono, sempre. Non lo so. E' successo tanti anni fa, io ero piccolino. Mio padre mi portava a passeggiare qui sul lungomare, le domeniche pomeriggio. In estate mi comprava il gelato, in autunno le caldarroste, in inverno i semi di zucca e in primavera le caramelle di liquirizia. Ne sento ancora i profumi i sapori. Mi portava qui, mi teneva per mano e ci fermavamo davanti alla chiatta, ad ascoltare la musica dell'orchestra. A volte, quando c'era anche la mamma, i miei genitori accennavano qualche passo di danza. Mamma era aggraziata, papà ballava come un orso e io ridevo forte. Non ho mai più riso così, non si ride mai più come si rideva da bambini. La vita è dura.
Poi, un giorno, papà mi portò sul lungomare... era inverno e anche allora non so dire se piovesse o ci fosse solo umidità, ma avevo l'impressione di camminare nell'acqua. Era freddo. Tenevo in tasca il mio sacchettino coi semi di zucca perché avevo le manine gelate. Non c'era musica, davanti alla chiatta. Silenzio assoluto. Chiesi perché, papà mi diede risposte vaghe. Non ne parlammo più. La verità la venni a sapere anni dopo, da vecchi giornali. Papà era già morto, io ero adulto. Andai sulla sua tomba e gli dissi che era stato cattivo con me, perché non mi aveva detto la verità. Mi manca, ora. Mi manca la sua voce, mi mancano le sue mani forti, mi manca il rituale della domenica pomeriggio. Ho freddo. Chiudo gli occhi e penso a papà. Il barbone mi guarda, lo sento, lo percepisco. Odora di alcool e di fumo. Potrei esserci io, al suo posto. A bere whisky scadente, seduto sugli scogli in una gelida e umida notte invernale.
Ho freddo, dovrei proprio andare a casa, eppure resto qui a guardare la chiatta, a seguirne il dondolio, a sentire la musica...
Ho proprio freddo, risalgo in macchina, saluto il barbone con un cenno del capo (il nostro rituale, da quando, circa un anno fa, mi ha chiesto una sigaretta) e parto per tornare a casa. Nella mia testa, un'orchestra che non esiste più da anni suona qualcosa che sembra un valzer...

Anche stasera fa freddo, ma presumo sia normale, in inverno. Non piove, però c'è un vento tagliente, che s'insinua beffardo nonostante il pesante maglione di lana che mi è stato regalato da qualcuno... forse è stato l'uomo della chiatta. L'ho trovato una notte accanto alla porta della mia baracca. Perché ho pensato a lui? Perché ha lo stesso odore che ho sentito addosso a lui una sera, quando mi sono avvicinato perché pensavo stesse male. Era, come sempre, appoggiato alla sua auto, ma invece di guardare la chiatta, aveva il capo abbassato, il viso nascosto tra le mani, sembrava tremare. Gli sono andato accanto, l'ho chiamato, gli ho chiesto cos'avesse: ha alzato la testa, ho creduto di vedere delle lacrime brillare nei suoi occhi. Ho distolto lo sguardo, lui ha sussurrato che andava tutto bene e io me ne sono andato. Le lacrime altrui mi mettono a disagio. Ma forse non piangeva, forse era solo il freddo. Anche stasera il freddo fa lacrimare. E sì, questo maglione, di pesante lana grigia, un po' consumato, ma caldissimo, ha lo stesso odore che ho sentito addosso a lui. Non saprei dire che profumo, o dopobarba sia, ma è lo stesso. Mi chiedo se dovrei ringraziarlo. Chissà se stasera viene. Il cielo è stellato, si vede anche la luna, ma noto che lui, l'uomo della chiatta, non si ferma mai a guardare in alto. Il suo sguardo è rivolto alla chiatta, qualche volta al mare. I pescatori notturni gli passano davanti e non lo vedono, come non vedono me. Siamo soli, io e lui, anche in mezzo alla gente. Eccolo, è lui. Parcheggia, ma non scende ancora: sta parlando al telefono, sembra una conversazione animata. Immagino che stia discutendo con la sua fidanzata... ma chissà se poi ce l'ha, una donna accanto. Forse è solo come me. In fondo, però, siamo tutti soli in questo mondo. Anche in mezzo agli altri, anche accanto alla donna migliore del mondo. La telefonata è finita, l'uomo scende.


Fa freddo, fa freddo anche stasera. Questo vento m'infastidisce, mi sconvolge anche i pensieri. Mi tormenta l'anima, non volevo nemmeno venire qui stasera. Poi la chiatta mi ha chiamato... lo so, sembra una cazzata e probabilmente lo è, ma nella mia testa risuona un valzer... Anche stasera il barbone è qui e rigira tra le mani la solita bottiglia di whisky scadente. Ne butta giù un sorso e fa una smorfia, mi sento bruciare la gola anch'io. Incrocio le braccia sul petto, mi chiudo in me stesso come a cercare calore. Come a cercare un abbraccio materno. Socchiudo gli occhi e risento il profumo della torta di mele che preparava mia madre il sabato pomeriggio per la colazione della domenica. Mentre tagliava le mele e impastava, canterellava. Ora che ci ripenso, la sua era una canzone senza parole, era proprio quel valzer... Mi sento mancare, mi cedono le ginocchia. Uno spasmo mi stringe lo stomaco. Rischio di cadere. Ok, recupero il respiro. Il barbone dietro a me tossisce. Mi giro, è voltato verso il mare, si gira nello stesso momento, i nostri sguardi s'incrociano, le sue labbra accennano un sorriso e mi trovo a sorridere anch'io. Mi viene in mente che l'altra sera ho visto, su un social network, una mia foto dove sorrido, una delle rare foto in cui non ho il broncio. Sembro un ragazzino, quando sorrido. Un forte rumore interrompe la comunicazione senza parole tra me e il barbone. Mi giro, il rumore viene dalla chiatta. Non so come sia successo, ma il vento ha fatto cadere la vecchia passerella.

Stavo parlando, senza voce, con l'uomo della chiatta, che stasera è tornato bambino. Di nuovo ha sorriso. Poi un rumore secco. La passerella della chiatta è caduta. I pochi passanti, infagottati in cappotti e sciarpe, non sembrano notare nulla. Solo io e l'uomo della chiatta ce ne siamo accorti. Ora ci avviciniamo. La vecchia porta ha la vetrata sporca, ma dentro si vede qualcosa. O meglio, si intuisce, perché è buio. La fioca luce del lampione non riesce a illuminare l'interno. Mi sembra di vedere il bancone di un bar, un pavimento luccicante...

Accidenti, non si vede nulla, lì dentro. Ma la musica... la musica...

Chi è che suona?

Cosa sono quelle macchie più scure sul pavimento?

Mi sta salendo l'ansia. L'uomo della chiatta è pietrificato. Dentro c'è qualcuno.

Il barbone indietreggia, tossisce, gli scivola dalla mano la bottiglia. L'odore del suo whisky scadente mi dà la nausea. Dentro la chiatta c'è qualcuno. Ho freddo, ho paura. Il barbone fugge. Io salgo in auto. Mi trema la mano così forte che non riesco a infilare la chiave per far partire la macchina. La musica, ormai, è assordante. Ma come fanno gli altri a non sentirla? Nessuno si gira, nessuno si incuriosisce.

Eccoci di nuovo qui. Io e l'uomo della chiatta, come se ci fossimo dati un appuntamento. Straordinario, per giunta, perché è pomeriggio. Oggi è “the day after”. Ieri notte è successo quello che... quello che è successo, mi fa paura persino parlarne. La chiatta... alla luce del giorno, anziché apparire più rassicurante, fa ancora più paura.

Di nuovo qui, io e il barbone. Davanti alla chiatta. Strano... alla luce del sole dovrebbe sembrare tranquillizzante, invece sembra ancora più inquietante. Mi fa male lo stomaco. Chissà perché, sarà la paura.

Non riesco

a guardare

la chiatta.

Me ne vado.

Vado via.

Una settimana. Era una settimana che non venivo. Guardo dentro la chiatta. Probabilmente sto sognando, ma vedo della gente che balla. È vestita a festa.

Ieri ho trovato una bottiglia di whisky di marca davanti alla baracca. Secondo me è stato lui, l'uomo della chiatta. Quasi quasi gliene offro un sorso... è lì che guarda. Ma ha qualcosa in mano... una bottiglia di vino. Beve.

Bevo un sorso di vino per farmi coraggio. Questo vino sa di whisky.

Appena l'uomo beve, sento un bruciore nella gola. Strano. Dentro la chiatta c'è gente che balla. Che cazzo dico? Com'è possibile? Musica...

Musica, fruscio di abiti. Risatine sommesse, brusio. Voci.

L'uomo si gira, ci guardiamo negli occhi. Leggiamo la paura l'uno negli occhi dell'altro. Non riesco a staccare lo sguardo dal suo, né lui dal mio. Forse dovremmo entrare, gli dico con la mente. Sì, risponde lui.

La porta della chiatta è rotta. Entro. Entriamo. Siamo nel mezzo della festa. C'è gente che balla, che si diverte. Siamo in mezzo ai fantasmi, ma i fantasmi oggi...

… siamo noi.

Questa è la musichetta sulla quale ballavano i miei. Penso a mio padre che si muove come un orso e …

rido. Come non ridevo da anni. Come non ridevo da quando...

… ero bambino. All'improvviso

entra qualcuno.

Urla.

Ha un'arma, sembra un mitra. Fuori c'è silenzio.

Qualcuno inizia a scappare. L'uomo alza il mitra e spara alla cieca.

La gente casca a terra. Rotolano giù le bottiglie di gin. Il liquido si mescola al sangue. Tutti urlano e l'orchestra

continua a suonare.

L'uomo che sta sparando... ha occhi di pazzo. Lo guardo, lui mi guarda. Per modo di dire, perché non mi può vedere, ma... quello sguardo

mi trapassa l'anima. Lo conosco. Provo a urlare anch'io, cerco di scappare, ma scivolo.

L'uomo della chiatta osserva l'uomo col mitra con gli occhi sbarrati. Tremo.

Io...

conosco quell'uomo.

E all'improvviso capisco e ricordo. L'uomo getta il mitra a terra, poi prende una pistola e

se la punta alla gola.

Spara.

Cade.

Sangue.

Tanto.

Apro la bocca e grido...

… zio!

Il mio zio preferito, quello che era sparito proprio quando chiusero la chiatta.

Ora è lì, lo zio che mi faceva giocare con le macchinine colorate...

e ora capisco i silenzi di mio padre, il malumore di mia madre...

ma quello che non capisco è

chi è il barbone.

Chi è l'uomo della chiatta? Gli occhi...

sono i miei. Il sorriso...

… è il mio.

Il barbone... sono io.

L'uomo della chiatta… sono io.

Vento.

Buio.

Rumore assordante.

Musica.

Ora la sofferenza acquista un significato, ora che sono stato nell'orrore, ora che ho guardato veramente me stesso negli occhi. Mi coglie una vertigine, ritorno sul lungomare. Una folata di vento, gelido, mi acceca. Sono costretto a chiudere gli occhi e, quando li apro di nuovo, la chiatta è davanti a me, con la porta chiusa. La passerella tirata su. Uguale a se stessa. Oscilla lievemente alla danza delle onde, cigolando appena. Come sempre. Da anni. Fa freddo, stanotte. Devo tornare a casa. Prima di salire in auto, mi specchio nel finestrino. Sto sorridendo.

E sembro un ragazzino.
 
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view post Posted on 31/8/2014, 23:17
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Bellissimo... sono senza parole...

Veronica
 
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Cupay
view post Posted on 31/8/2014, 23:20




veramente molto bella.
ci sono dei punti che davvero fanno un effetto strano.
come dei colpi che arrivano ...

è molto visivo il racconto, leggendo pensavo che sarebbe bella una graphic novel su questo testo. magari tu odi i fumetti ( spero di no se no ho fatto una gaffe ).

bella lettura grazie :)

Edited by Cupay - 1/9/2014, 21:44
 
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Animasalva
view post Posted on 31/8/2014, 23:29




Sul lungomare della mia città c'è realmente una chiatta, che fino a qualche anno fa era un ristorante. E' chiusa da non so più quanti anni, ma è sempre lì, ormai cadrà a pezzi. Io l'ho sempre guardata molto distrattamente, ma Massimo (il mio compagno) ne è affascinato e dice sempre che gli piacerebbe aprirci un locale dove fare musica dal vivo, cosa che mi fa star male solo a pensarci perché soffro il mal di mare e la chiatta SI MUOVE!!!
Siccome andiamo spesso a passeggiare sul lungomare, ci fermiamo ogni volta davanti a questa chiatta e parlane oggi parlane domani, è diventata la protagonista del racconto. :D
Ovviamente non è successo un decimo di quello che ho scritto lì, eh. :woot:
Alla fantasia ho mescolato alcuni ricordi d'infanzia di Massimo ed è nato questo racconto... non sono appassionata di fumetti, ma di storie di misteri sì. ;)

L'ho scritto diversi mesi fa, poi l'ho ampliato con altre cose che mi aveva raccontato Massimo e gliel'ho stampato e regalato per San Valentino, quello è solo suo. :wub:
Questo l'ho ripreso stasera perché devo assolutamente riprendere a scrivere, so farlo e mi piace. Spero di convincermi così. :P

Grazie per il tempo dedicatomi. :wub:
 
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marcolfa34
view post Posted on 1/9/2014, 03:42




Grazie a te, Claudia, quando hai qualcosa di nuovo faccene partecipi e te ne saremo grate.
LA ZIA
 
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view post Posted on 2/9/2014, 22:32
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assetato di conoscenza

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Ciao Claudia,

grazie di averci regalato questo racconto. Non è il mio genere preferito, ma l'ho letto tutto e mi congratulo, scrivi bene e sai richiamare emozioni ed immagini, hai sicuramente un grande dono.

Davide
 
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.veronica
view post Posted on 3/9/2014, 09:26




Grazie Claudia,

Uno splendido racconto, mi hai emozionata

Veronica
 
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valeriaconte
view post Posted on 3/9/2014, 11:10




Molto emozionante e profondo. Molto bello
 
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Animasalva
view post Posted on 3/9/2014, 11:30




Grazie. ^_^
 
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8 replies since 31/8/2014, 22:44   375 views
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